
La Cassazione con Ordinanza n. 1921 del 24 gennaio 2019 si è espressa sulla illegittimità dell’accertamento c.d. alcoltest prescrivendo l’onere in capo alla Pubblica Amministrazione di provare la regolare omologazione e calibratura dell’apparecchiatura utilizzata per tale test.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
“(…) All’Amministrazione, che viene a rivestire – dal punto di vista sostanziale – la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità forniate del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione (v., ad es., Cass. n. 3837/2001, n. 3837; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/3008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011 e, da ultimo, Cass. n. 4898/2015).
(…) Pertanto, alla luce del descritto e dettagliato coacervo normativo, è evincibile che la effettiva legittimità dell’esecuzione dell’accertamento mediante etilometro non può prescindere – come prospettato dal ricorrente ed invece escluso dal giudice di appello – dall’osservanza di appositi obblighi formali, dalla cui violazione può discendere l’invalidità dell’accertamento stesso, quali, in particolare, l’attestazione – all’atto del controllo – dell’avvenuta preventiva sottoposizione dell’apparecchio alla prescritta ed aggiornata omologazione oltre che alla indispensabile corretta calibratura (da riportare sul libretto di accompagnamento), tali da garantire l’effettivo “buon funzionamento” dell’apparecchio e, quindi, la piena attendibilità del risultato conseguito attraverso la sua regolare utilizzazione. Da ciò deriva che il verbale di accertamento deve contenere – anche per garantire l’effettività della trasparenza dell’attività compiuta dai pubblici ufficiali – l’attestazione dei dati relativi allo svolgimento dei suddetti adempimenti in modo tale da garantire la controllabilità della legittimità della complessiva operazione di accertamento. Ed è indubbio che l’onere della prova circa il completo assolvimento dell’espletamento della evidenziata attività preventiva strumentale ai fini della legittimità – e, quindi, della piena attendibilità – dell’accertamento non può che competere all’opposta Pubblica Amministrazione, siccome attinente al fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria costituente oggetto del giudizio di opposizione instaurato o ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 o ai sensi dell’art. 7. Del resto, il percorso logico e l’esito delle illustrate argomentazioni – fondate, come visto, nelle previsioni del diritto positivo – trovano supporto anche nel principio – valorizzabile in senso generale (ancorchè riferito alla legittimità o meno dell’attività di accertamento mediante lo strumento di rilevamento elettronico della velocità) – fissato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 113 del 2015, con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 l’art. 45, comma 6 (cod. strada), nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. Secondo il Giudice delle leggi, la disposizione censurata, così come risultante dall’interpretazione del “diritto vivente” sviluppatosi in merito (nel senso, cioè, di esonerare i soggetti utilizzatori dall’obbligo di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura delle apparecchiature impiegate nella rilevazione della velocità), deve ritenersi contraria, infatti, con il principio di razionalità, sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza, sia nel senso di razionalità formale, cioè del principio logico di non contraddizione. In particolare, il richiamo della Corte costituzionale al canone di “razionalità pratica” è stato effettuato per affermare che “qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione”, eventualità queste che rendono intrinsecamente irragionevole l’esonero delle apparecchiature da verifiche periodiche. E’, infatti, proprio l’affidabilità dell’omologazione e la taratura di detti apparecchi a giustificare, in considerazione delle esigenze di tutela della sicurezza stradale, che le risultanze degli stessi costituiscono fonte di prova della violazione, senza che l’inerente onere probatorio (pressochè diabolico) di dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura possa gravare sull’automobilista dando luogo ad una presunzione (quasi assoluta) in danno dello stesso. Il corretto bilanciamento – secondo il Giudice delle leggi – delle esigenze coinvolte richiede, quindi, perchè possa farsi “ragionevole affidamento” sugli apparecchi in questione (e, nel caso esaminato dai giudici della Consulta, sugli autovelox), precise garanzie in ordine alla custodia ed alla permanente funzionalità delle apparecchiature e, quindi, la sottoposizione delle stesse a “verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. L’impianto argomentativo fatto proprio dalla Corte costituzionale è opportunamente ispirato ad evidente buon senso e alla concretizzazione della tutela del generale principio di affidamento dell’utente nell’attività della P.A., tradotto in principi giuridici attraverso il canone di razionalità, enunciato e coniugato in modo chiaro allo scopo di realizzare un ragionevole bilanciamento dell’interesse a garantire un elevato livello di tutela della sicurezza, ma anche i diritti del cittadino, che non può certo rimanere esposto ad un’incontrollabile attività della P.A. per il tramite dei suoi organi accertatori, profilandosi incomprensibile ed ingiustificabile la mancata previsione di controlli periodici degli apparecchi, da cui deriva in modo consequenziale – l’obbligo per gli agenti preposti all’accertamento di attestare appositamente che le relative attività preventive siano state regolarmente compiute, secondo le prescrizioni imposte dalla legge.
Da tanto deriva l’affermazione del principio di diritto (al quale dovrà conformarsi il giudice di rinvio) secondo cui, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata ispirata ai principi C.d.S. 1992 sono tenuti all’assolvimento dei predetti obblighi di preventiva verifica della regolare sottoposizione dell’apparecchio da adoperare per l’esecuzione dell’alcooltest ai prescritti adempimenti della regolare omologazione e calibratura (ovvero taratura) cui si correla l’obbligo della necessaria attestazione della loro verifica nel verbale di contestazione. Di conseguenza, nella causa in questione, sussiste la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. poichè la competente P.A. poteva e doveva fornire la prova degli adempimenti sopraindicati, avendone il B. prospettato la mancanza nell’opposto verbale di accertamento della predetta violazione amministrativa”.